Il rilancio dell'Italia attraverso la lotta al Gender Gap


IL GENDER GAP

La parità di genere, il cosiddetto “gender gap”, è un tema sempre più affrontato nel dibattito sociale. Tema talmente importante, da essere incluso anche nelle misure previste dal PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza):

“il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha predisposto un documento che analizza il contributo degli interventi previsti nel PNRR e presenta una valutazione ex ante sugli impatti che gli interventi stessi possono apportare per ridurre il divario in molti ambiti”.

In particolare, le risorse stanziate dal PNRR per interventi rivolti alle donne, anche indiretti, nella riduzione dei divari attualmente presenti a favore delle donne rappresentano oltre il 20% del totale (circa 38,5 miliardi).

Nella classifica sull’ampiezza del divario di genere in tutto il mondo realizzata dal WEF (World Economic Forum), l’Italia risale di 13 posizioni rispetto all’anno precedente, diventando 63esima. Sicuramente un passo avanti ma, comunque, resta ancora tra i peggiori paesi d’Europa.

 

PROVVEDIMENTI IN ITALIA E DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Qualcosa si muove. È stata prorogata la Legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei CdA. Questa legge rappresenta attualmente il cambiamento più rivoluzionario, nonché il successo più grande, in campo di empowerment femminile nel nostro Paese. Grazie a essa, la percentuale di donne nei Cda di società quotate è passata da circa il 7% all’attuale percentuale che sfiora il 40%.

Oltre alla proroga di tale legge, la Commissione europea ha presentato una proposta sulla trasparenza salariale ed è stata approvata all’unanimità la legge Gribaudo, che punta a favorire la parità retributiva tra i sessi e le pari opportunità sul luogo di lavoro.

«Esiste un’ingiustizia profonda, culturale ed economica, che blocca le carriere delle donne italiane. Con questa legge facciamo un primo passo per sanare questa ingiustizia».

A dirlo è Chiara Gribaudo, deputata del Partito Democratico e prima firmataria della “Legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro”, da poco approvata in via definitiva in Parlamento. L’obiettivo è ridurre il gender pay gap, cioè la differenza di salario tra donne e uomini, e far venire a galla ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo.

 

LA DIVERSITY È UN AFFARE

In generale, è dunque tempo che le aziende cambino passo, concretamente, rispetto al tema del gender gap. Perché, come sottolinea Boston Consulting Group, la diversity è anche un “affare”: le aziende con almeno tre dirigenti donne hanno un aumento mediano del ROE superiore di 11 punti percentuali in cinque anni rispetto a quello delle aziende senza dirigenti donne. E le aziende con almeno il 30% dei dirigenti donne hanno un aumento del 15% della redditività rispetto a quelle senza dirigenti donne. Basta, quindi, una sola donna in più nella leadership per aumentare il rendimento di una azienda da 8 a 13 punti base.

 

IL GLOBAL GENDER GAP REPORT – WEF

Il Global Gender Gap Report 2021 del WEF ha stimato pari a 135,6 il totale di anni necessari per raggiungere la parità tra uomini e donne, rispetto ai 99,5 anni ipotizzati solo dal rapporto precedente. La pandemia, evidenzia lo studio, ha fatto crollare la presenza delle donne nel mercato del lavoro, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Due sono le principali cause: da un lato, le donne lavorano maggiormente in settori che sono stati colpiti direttamente dalla pandemia (ad esempio turismo e ristorazione); dall’altro lato, l’aumento della necessità di cure tra le mura domestiche, come spesso succede, è ricaduta soprattutto sulle loro spalle (si pensi ai bambini che non sono potuti andare a scuola).

A guidare la classifica è il Nord Europa con Islanda, Finlandia e Norvegia (vedi immagine sotto). Tre Paesi guidati da premier donne. Dopo un anno di pandemia, nella classifica redatta dal World Economic Forum, emerge il balzo registrato dall’Italia, che ha guadagnato 13 posizioni salendo dal 76° al 63° posto su un totale di 156 Paesi al mondo. La spinta maggiore al miglioramento è dovuta alla politica, dove risultiamo il 41esimo Paese nella classifica, arrivando addirittura al 33° posto se si tiene conto delle donne nell’esecutivo. D’altra parte il governo Conte II, che è quello tenuto in considerazione dalla rilevazione, aveva raggiunto un record storico con una percentuale del 34% fra ministre, viceministre e sottosegretarie. Dall’altro lato, però, la partecipazione economica, ci fa scivolare al 114esimo posto. Il Gender Gap Index, sulla base del quale viene stilata ogni anno una classifica dei paesi che hanno fatto meglio per quanto riguarda il raggiungimento della parità di genere, è costruito infatti su quattro indicatori principali: salute, educazione, economia e politica.

 

IN CONCLUSIONE

In Italia c’è una nuova consapevolezza, che deve tradursi in operazioni concrete per colmare le diseguaglianze ancora esistenti. L’obiettivo deve essere quello di ridare futuro ad un’Italia oggi piegata dalla pandemia, e che potrà davvero ripartire con lo sguardo e il protagonismo delle donne.

 

 

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