La potenza del Green HR
La potenza del Green HR - Verso il cambiamento sostenibile
Con il termine Green HR si indica l’area delle risorse umane che ha come fine quello di supportare l’organizzazione verso il raggiungimento di obiettivi sostenibili. Sotto questa nuova prospettiva, quindi, il compito dell’HR Manager, e quindi la nuova sfida della nuova era HR, è quello di incoraggiare l’uso sostenibile delle risorse al fine di proteggere l’ambiente. Così facendo, il Green HR si focalizza sullo sviluppo, l’implementazione e il mantenimento di tutte le attività che mirano a convertire i collaboratori nei primi sostenitori degli obiettivi green. Infatti, le ricerche hanno dimostrato che il coinvolgimento dei dipendenti in iniziative sostenibili è direttamente associabile a maggiori livelli di engagement.
L’AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità.
Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro l’anno 2030.
Questo programma non è risolutivo in maniera assoluta ma rappresenta una buona base comune da cui partire per costruire un mondo diverso e dare a tutti la possibilità di vivere in un mondo sostenibile.
I 17 obiettivi prendono in considerazione le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – per lottare contro l‘ineguaglianza, porre fine alla povertà, affrontare i cambiamenti climatici e costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani.
SUSTAINABLE HUMAN RESOURCE MANAGEMENT (SUSTAINABLE HRM)
Con l’approvazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, quindi, ci si trova a dover affrontare due grandi sfide: attrarre, mantenere e sviluppare talenti da un lato; dall’altro, implementare un sistema di gestione delle risorse umane che sia in grado di incontrare quelli che sono gli obiettivi economici, sociali e ambientali dell’Agenda.
Con il termine Sustainable HRM, ci si riferisce, quindi, all’utilizzo di strumenti HR finalizzati ad inserire gli obiettivi di sostenibilità nelle organizzazioni, attraverso la predisposizione di sistemi di gestione e sviluppo del personale in grado di sostenere il conseguimento di performance sostenibili da parte dell’impresa. In particolare, contribuisce a creare e/o rafforzare le competenze, la motivazione, i valori e la fiducia che sono necessari affinché l’impresa possa ottenere i risultati desiderati.
L’obiettivo è, pertanto, quello di rendere operativi gli obiettivi e le strategie di sostenibilità aziendale, attraverso politiche e pratiche HR in grado di valorizzare l’equità, lo sviluppo e il benessere, e che risultino al contempo adeguati nel promuovere la difesa dell’ambiente.
CAMBIAMENTO DEL MODELLO ORGANIZZATIVO GRAZIE AL GREEN HR
È, quindi, ormai, dovere di tutti quello di mettere in atto comportamenti responsabili orientati allo sviluppo sostenibile. Le imprese non sono esenti da ciò, per cui viene richiesto loro un cambiamento nel proprio modello organizzativo, volto ad utilizzare al meglio le risorse disponibili, al fine di ottenere una maggiore efficienza produttiva che sia anche sostenibile. Infatti, sempre più spesso si sente parlare della funzione HR come agente del cambiamento, dal ruolo strategico e indispensabile, per integrare comportamenti e obiettivi sostenibili nella Aziende.
È, dunque, questo il ruolo della Green HR che, focalizzandosi sullo sviluppo, l’implementazione e il mantenimento di tutte le attività dell’organizzazione, fa sì che dipendenti, collaboratori e stakeholder si trasformino nei primi sostenitori degli obiettivi green.
Le sfide per gli HR, nell’inserire i principi di sostenibilità all’interno dei processi organizzativi e nei comportamenti quotidiani, diventano quindi molteplici:
1) Individuare azioni finalizzate a migliorare le prestazioni ambientali e sociali
2) Governare, gestire e accompagnare la transizione verso nuovi modelli di business orientati alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica
3) Creare alleanze con stakeholder sia interni che esterni e individuare e rispondere ai loro bisogni
4) Attrarre e mantenere i talenti
5) Garantire l’equilibrio tra obiettivi sociali, economici e ambientali nel breve e lungo periodo, attraverso la costruzione di capitale umano nuovo e, soprattutto, proattivo
6) Creare motivazione, valori e fiducia necessari affinché l’azienda possa ottenere i risultati desiderati
IN CONCLUSIONE
I profili HR dovrebbero, quindi, essere attori e attivatori di confronti e sviluppare competenze specifiche, quali la pianificazione, la capacità di superare gli ostacoli, la comunicazione funzionale e trasparente, in quanto il cambiamento si basa sulla fiducia. Serve abilità a fare ecosistema, serve collaborazione. Due sono le direzioni verso cui la figura HR ha il compito di indirizzare le proprie azioni: orientamento al processo e orientamento alle persone.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
L’Italia ai tempi di Smart e Remote Working
L'Italia ai tempi di Smart e Remote Working
Lo Smart Working lo conosciamo un po’ tutti. Così come il Remote Working. Sapete però la differenza le due opzioni?
Lo smart working permette di lavorare solo sugli obiettivi, evitando di sprecare il proprio tempo in Ufficio anche quando c’è meno lavoro da svolgere. Nel remote working, invece, i dipendenti sono vincolati alle 8 ore al giorno, ma non sono incentivati a lavorare per obiettivi da raggiungere.
Entrambi i concetti sono sempre esistiti, ma abbiamo avuto un boom di utilizzo di questi due modelli lavorativi solamente con l’arrivo della pandemia, nel marzo del 2020 e nei mesi successivi.
Ad oggi, una volta che le persone hanno provato a lavorare da casa, pare non vogliano più abbandonare questa modalità. Non c’è più solo un “addio all’orario di lavoro fisso”, ma anche una piena autonomia e gestione del proprio tempo. Proprio per questo, con la fine dell’emergenza sanitaria e il ritorno negli uffici, è stato introdotto un nuovo modello di lavoro: il lavoro ibrido. Si tratta di un modello 50 e 50, con possibilità di lavorare sia in azienda, che direttamente da casa.
Tutte le tipologie di lavoro hanno dei vantaggi, non solo per il dipendente, ma anche per l’azienda: le aziende che offrono un modello di lavoro ibrido, infatti, possono risparmiare sui costi, sia in termini elettrici, sia di volume, perché hanno bisogno di meno spazio ufficio.
Proprio in questi giorni, sono esplosi due casi mediatici che si collocano ai due estremi di questo filone di pensiero. Il caso di Elon Musk, CEO di Tesla, da molti definito antiquato, che dice basta allo smart working, o si torna in azienda o si verrà considerati come dimessi. Dall’altro lato il Caso di Bassel Bakdounes, titolare di Velvet, che ha abolito gli orari di lavoro fisso, permettendo ai dipendenti di lavorare dove e quando vogliono.
IL CASO ELON MUSK, CEO DI TESLA
Il CEO di Tesla, Elon Musk, ha scritto in una email, nero su bianco, che non è più accettabile che i suoi dipendenti lavorino in smart working. La email è stata divulgata su Twitter, il miliardario ha comunicato che gli impiegati devono trascorrere un minimo di 40 ore a settimana in ufficio, altrimenti possono andare a lavorare “da un’altra parte”, Tesla li considererà dimessi.
Così, mentre molte altre grandi aziende tecnologiche come Microsoft, Amazon, Apple o Meta continuano a garantire, in maniera più o meno estesa, il ricorso allo smart working, il capo di Telsa si è schierato contro il lavoro a distanza. “Chiunque desideri lavorare da remoto, deve essere in ufficio per un minimo (e intendo *minimo*) di 40 ore a settimana o lasciare Tesla”, ha scritto nella mail finita su Twitter. “Se ci sono collaboratori particolarmente eccezionali per i quali questo è impossibile, esaminerò e approverò direttamente queste eccezioni. – continua l’email – Naturalmente ci sono aziende che non richiedono questo, ma quando è stata l’ultima volta che hanno creato un nuovo grande prodotto?”. Musk ha poi aggiunto l’importanza della presenza in azienda dei dipendenti senior e: “se Tesla sarà in grado di continuare a creare i prodotti più interessanti e significativi di qualsiasi altra azienda sulla Terra, non accadrà telefonando”. Il suo messaggio è diventato virale su Internet, e anche su Twitter sono circolati diversi attacchi al suo messaggio. Inevitabilmente, è scattata la polemica da parte di coloro che ritengono il lavoro di persona un concetto antiquato.
IL CASO DI BASSEL BAKDOUNES, TITOLARE DI VELVET
Visione opposta a quella di Elon Musk, è la visione di Bassel Bakdounes, il titolare della Velvet Media, azienda di marketing di Treviso.
La notizia, uscita sempre negli stessi giorni, è che per i dipendenti Velvet è stato ufficialmente abbandonato l’orario di lavoro fisso da 8 ore; l’obiettivo, infatti, diventerà quello di procedere per obiettivi.
I dipendenti dell’agenzia, infatti, lavoreranno per obiettivi per tutto il periodo estivo. Si tratta di una sorta di “test” per valutare la loro operatività, ma anche per vedere se ci saranno o meno dei miglioramenti per l’azienda e per il benessere dei dipendenti.
Attenzione, però, non si tratta di liberi professionisti, ma di veri e propri dipendenti, che avranno ferie e permessi pagati. Questi potranno essere presi sempre, in base alle necessità del singolo dipendente. Infine, i dipendenti potranno recarsi in agenzia quando e come vorranno, anche negli orari più strani. Il caso ha fatto scalpore perché si tratta di un vero e proprio esperimento innovativo, che non è un completo smart working, né un remote working, ma è qualcosa di nuovo che è stato particolarmente apprezzato dal mondo social.
Ogni giorno, milioni di italiani si recano sul posto di lavoro per 8 ore al giorno. Questa routine si ripete dal lunedì al venerdì e, in alcuni casi, anche il sabato o la domenica.
Nella Velvet Media di Treviso, però, questo concetto di lavoro – che ormai un po’ a tutti sembra obsoleto – è stato eliminato. L’obiettivo è svolgere i propri compiti in maniera flessibile, ciò vuol dire secondo le proprie necessità. Non dovendo più timbrare un cartellino i dipendenti saranno chiamati a lavorare per obiettivi finali. I dipendenti dovranno dare la priorità alle commesse dei clienti con ancora maggior determinazione.
Potranno, però, decidere autonomamente quando farlo, in quale momento del giorno, ma anche da che luogo. In queste ultime settimane, infatti, tutti i dirigenti dei vari reparti sono stati formati per perseguire questi nuovi obiettivi.
Il titolare ha dichiarato: “siamo convinti che se una persona è serena e sta bene nel privato, potrà essere più performante anche davanti al computer. Il miglioramento della qualità della vita genera la possibilità di lavorare meglio.”
Il sistema di Bassel Bakdounes è basato su due obiettivi finali, da un lato vuole muoversi: “togliendo costrizioni frutto di un retaggio culturale anacronistico, legate alla presenza in un ufficio o al numero di giorni e ore lavorate.” mentre dall’altro vuole dare “massima libertà e fiducia alle persone”.
Rendendo il lavoro più flessibile, i lavoratori si sentono meno oppressi e, di conseguenza, meno frustati. Inoltre, si potranno ridurre notevolmente i “tempi morti”.
I lavoratori “vecchio stampo” sono per il “portarsi avanti” ma, per Bassel Bakdounes, significa costringere i dipendenti a lavorare, anche se hanno terminato i loro impegni.
Senza un orario di lavoro fisso, si potrebbe favorire anche la parità di genere, poiché tanto le mamme quanto i papà potrebbero lavorare in maniera agile, permettendo alle mamme di non sacrificare il proprio lavoro per dedicarsi ai figli e, ai padri, di dedicarsi maggiormente alla vita familiare.
IN CONCLUSIONE
Il mondo del lavoro in Italia vive sempre in differita rispetto ad altri paesi europei, decisamente più snelli nelle riforme giulavoristiche nei Regolamenti Aziendali. Abbiamo ancora tanta strada da percorrere sul tema della parità di genere e sulla fiducia dei datori del lavoro verso i propri dipendenti. Lasciare loro maggior libertà di gestire le loro giornate non significa lavorare peggio, significa, piuttosto, lavorare in maniera mirata ed efficace e valorizzando l’oro dell’ultimo decennio: il tempo.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Cappeller: More Than An Industry
Cappeller, l'impegno verso i dipendenti
Il 2020 e il 2021 sono stati anni difficili per le aziende italiane e per i cittadini. Le imprese hanno reagito impegnandosi per garantire la continuità produttiva tutelando la salute dei lavoratori, hanno riorganizzato il lavoro per renderlo più flessibile anche con le esigenze familiari. La reazione alla grave crisi, sia economica che sanitaria, ha generato una nuova consapevolezza del ruolo sociale delle imprese.
Proprio per questo, a partire da Aprile 2022 l’azienda Cappeller ha attivato un piano di Welfare Aziendale per i suoi dipendenti con il supporto del Team di Evoluzione Welfare.
Grazie all’attivazione di questo Piano di Welfare Aziendale, tutti i dipendenti hanno avuto accesso alla nostra innovativa Piattaforma tecnologica Acropoli. Grazie ad Acropoli i dipendenti possono gestire autonomamente il loro credito welfare, spendendolo attraverso tutti i nostri cataloghi di beni e servizi. L’Azienda potrà, in ogni momento, monitorare la fruizione da parte dell’utente finale, valutandone soddisfazione e preferenze.
Lo slogan di Cappeller è “more than an industry” e non potrebbe esserci conferma maggiore dell’impegno che si sono assunti in questo periodo per migliorare il loro clima aziendale e aumentare il benessere dei loro dipendenti e delle loro famiglie, tutto ciò prestando grande attenzione al tema della sostenibilità.
Cappeller S.p.a, azienda di Cartigliano (VI), nasce nel 1969 come produttore di molle. La loro competenza è aumentata nel tempo lavorando in settori eterogenei, molto esigenti, e sviluppando progetti sempre più complessi.
Nel corso degli anni l’azienda ha attivato diverse politiche per lo sviluppo e la diffusione della responsabilità industriale, promuovendo iniziative per il rispetto dell’ambiente e sostenendo iniziative in ambito sociale.
Ed è proprio questa la caratteristica principale da cui noi siamo partiti per cucire un piano di Welfare Aziendale su misura per loro.
La prima iniziativa che ci è stata richiesta dall’Azienda è, infatti, una flotta di E-Bike ad uso dei dipendenti per promuovere la mobilità sostenibile fra i loro lavoratori. La flotta è attualmente disponibile in Azienda e il progetto “mobilità green” è ufficialmente partito a maggio 2022 e verrà testato per un anno, fino a Maggio 2023, con l’intento di renderla una soluzione permanente in Azienda.
Oltre alla mobilità green, Cappeller ha cercato, insieme a noi di Evoluzione Welfare, delle soluzioni green per le case dei loro dipendenti. Promuovendo cosi un’azienda locale, abbiamo inserito in Piattaforma l’azienda Living Pizzato di Pove del Grappa; Living Pizzato è specializzato in elettrodomestici green, in particolare, hanno sviluppato una linea di prodotti all’ozono. Il macchinario che ha maggiormente attirato l’attenzione di Cappeller, e la nostra, è Infinity: un macchinario per la lavatrice ad ozono innovativo, che sfrutta la triplice azione dell’Ossigeno Attivo, dei Raggi UV e degli Ioni d’Argento per pulire e disinfettare il bucato.
Infine, oltre a servizi scelti e creati apposta per loro, tramite Acropoli, i dipendenti avranno accesso ai nostri Cataloghi e potranno acquistare tutti i beni e servizi necessari alle loro esigenze. Troveranno buoni spesa per i beni di prima necessità di una famiglia e potranno chiedere i rimborsi per spese sostenute per l’istruzione/educazione dei loro figli, assistenza a familiari anziani e/o non autosufficienti e per gli abbonamenti al trasporto pubblico. Inoltre, avranno la possibilità di acquistare prestazioni sanitarie presso centinaia di strutture convenzionate e troveranno migliaia di soluzioni acquistabili per il loro tempo libero, dal relax fino a una giornata al parco divertimento o un viaggio.
Tutto questo rappresenta l’impegno preso da Cappeller nei confronti dei suoi dipendenti, l’attenzione alle loro esigenze e ai bisogni delle loro famiglie.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Il rilancio dell'Italia attraverso la lotta al Gender Gap
Il rilancio dell'Italia attraverso la lotta al Gender Gap
IL GENDER GAP
La parità di genere, il cosiddetto “gender gap”, è un tema sempre più affrontato nel dibattito sociale. Tema talmente importante, da essere incluso anche nelle misure previste dal PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza):
“il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha predisposto un documento che analizza il contributo degli interventi previsti nel PNRR e presenta una valutazione ex ante sugli impatti che gli interventi stessi possono apportare per ridurre il divario in molti ambiti”.
In particolare, le risorse stanziate dal PNRR per interventi rivolti alle donne, anche indiretti, nella riduzione dei divari attualmente presenti a favore delle donne rappresentano oltre il 20% del totale (circa 38,5 miliardi).
Nella classifica sull’ampiezza del divario di genere in tutto il mondo realizzata dal WEF (World Economic Forum), l’Italia risale di 13 posizioni rispetto all’anno precedente, diventando 63esima. Sicuramente un passo avanti ma, comunque, resta ancora tra i peggiori paesi d’Europa.
PROVVEDIMENTI IN ITALIA E DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Qualcosa si muove. È stata prorogata la Legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei CdA. Questa legge rappresenta attualmente il cambiamento più rivoluzionario, nonché il successo più grande, in campo di empowerment femminile nel nostro Paese. Grazie a essa, la percentuale di donne nei Cda di società quotate è passata da circa il 7% all’attuale percentuale che sfiora il 40%.
Oltre alla proroga di tale legge, la Commissione europea ha presentato una proposta sulla trasparenza salariale ed è stata approvata all’unanimità la legge Gribaudo, che punta a favorire la parità retributiva tra i sessi e le pari opportunità sul luogo di lavoro.
«Esiste un’ingiustizia profonda, culturale ed economica, che blocca le carriere delle donne italiane. Con questa legge facciamo un primo passo per sanare questa ingiustizia».
A dirlo è Chiara Gribaudo, deputata del Partito Democratico e prima firmataria della “Legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro”, da poco approvata in via definitiva in Parlamento. L’obiettivo è ridurre il gender pay gap, cioè la differenza di salario tra donne e uomini, e far venire a galla ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo.
LA DIVERSITY È UN AFFARE
In generale, è dunque tempo che le aziende cambino passo, concretamente, rispetto al tema del gender gap. Perché, come sottolinea Boston Consulting Group, la diversity è anche un “affare”: le aziende con almeno tre dirigenti donne hanno un aumento mediano del ROE superiore di 11 punti percentuali in cinque anni rispetto a quello delle aziende senza dirigenti donne. E le aziende con almeno il 30% dei dirigenti donne hanno un aumento del 15% della redditività rispetto a quelle senza dirigenti donne. Basta, quindi, una sola donna in più nella leadership per aumentare il rendimento di una azienda da 8 a 13 punti base.
IL GLOBAL GENDER GAP REPORT – WEF
Il Global Gender Gap Report 2021 del WEF ha stimato pari a 135,6 il totale di anni necessari per raggiungere la parità tra uomini e donne, rispetto ai 99,5 anni ipotizzati solo dal rapporto precedente. La pandemia, evidenzia lo studio, ha fatto crollare la presenza delle donne nel mercato del lavoro, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Due sono le principali cause: da un lato, le donne lavorano maggiormente in settori che sono stati colpiti direttamente dalla pandemia (ad esempio turismo e ristorazione); dall’altro lato, l’aumento della necessità di cure tra le mura domestiche, come spesso succede, è ricaduta soprattutto sulle loro spalle (si pensi ai bambini che non sono potuti andare a scuola).
A guidare la classifica è il Nord Europa con Islanda, Finlandia e Norvegia (vedi immagine sotto). Tre Paesi guidati da premier donne. Dopo un anno di pandemia, nella classifica redatta dal World Economic Forum, emerge il balzo registrato dall’Italia, che ha guadagnato 13 posizioni salendo dal 76° al 63° posto su un totale di 156 Paesi al mondo. La spinta maggiore al miglioramento è dovuta alla politica, dove risultiamo il 41esimo Paese nella classifica, arrivando addirittura al 33° posto se si tiene conto delle donne nell’esecutivo. D’altra parte il governo Conte II, che è quello tenuto in considerazione dalla rilevazione, aveva raggiunto un record storico con una percentuale del 34% fra ministre, viceministre e sottosegretarie. Dall’altro lato, però, la partecipazione economica, ci fa scivolare al 114esimo posto. Il Gender Gap Index, sulla base del quale viene stilata ogni anno una classifica dei paesi che hanno fatto meglio per quanto riguarda il raggiungimento della parità di genere, è costruito infatti su quattro indicatori principali: salute, educazione, economia e politica.
IN CONCLUSIONE
In Italia c’è una nuova consapevolezza, che deve tradursi in operazioni concrete per colmare le diseguaglianze ancora esistenti. L’obiettivo deve essere quello di ridare futuro ad un’Italia oggi piegata dalla pandemia, e che potrà davvero ripartire con lo sguardo e il protagonismo delle donne.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Premio di risultato
Il premio di risultato
Il Premio di Risultato e la Legge di Bilancio 2022
Con la Legge di Bilancio 2022, è stato confermato per tutto il 2022 il regime di detassazione totale del Premio di Risultato se convertito in Welfare.
Partendo dal presupposto che è interesse dell’azienda avere dipendenti sempre più motivati ed allo stesso tempo è interesse del dipendente guadagnare di più, si può dire che entrambi questi obiettivi possono essere raggiunti con il “Premio di Risultato” o “Premio di Produzione”.
I premi di risultato sono somme straordinarie rispetto alla retribuzione che l’azienda riconosce ai propri dipendenti. La loro erogazione dipende di norma dai risultati aziendali o da quelli di uno specifico ufficio, reparto o settore produttivo.
L’azienda gode di una notevole libertà sia per quanto riguarda l’importo che in merito alle modalità di corresponsione dei premi. Esistono tuttavia delle agevolazioni fiscali che prevedono una tassazione inferiore rispetto a quella ordinaria, a patto che si rispettino determinati requisiti oggettivi e soggettivi.
Il premio di risultato, come dice già il nome è un premio che l’azienda eroga al dipendente se raggiunge un certo risultato. In questo modo l’azienda cerca di fidelizzare i propri dipendenti e di aumentare il loro grado di coinvolgimento nell’impresa e spingerli a sentire l’azienda come la loro famiglia.
Questo può essere molto importante perché solo un dipendente motivato che sente l’azienda anche un po’ sua può davvero dare il massimo e contribuire, dunque, al successo dell’impresa.
Cos’è il Premio di Risultato?
Il “Premio di Risultato” è rappresentato dalla quota aggiuntiva alla retribuzione che viene riconosciuta ai dipendenti al raggiungimento di incrementi di produttività, redditività, qualità efficienza ed innovazione.
Per fruire dell’agevolazione si deve realizzare l’incremento di “almeno uno” degli obiettivi di produttività, qualità, efficienza ed innovazione nell’arco di un periodo congruo definito.
I criteri incrementali ai quali devono essere ancorati i premi di risultato, possono consistere nell’aumento della produzione, in un risparmio dei fattori produttivi o nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi.
L’incremento inoltre deve essere “verificabile” attraverso indicatori numerici o di altro genere definiti dalla contrattazione collettiva.
L’incremento richiesto dev’essere effettivo e valutato in base a criteri di misurazione oggettivi come fatturato, volume della produzione, grado di soddisfazione della clientela, tempi di consegna.
E’ inoltre necessario che il risultato rappresenti un incremento rispetto ai traguardi raggiunti nel periodo precedente quello preso a riferimento per l’erogazione del premio.
Come stabilito dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione del 19 ottobre 2018 n. 78 l’erogazione del premio non subordinata al conseguimento di un risultato incrementale non può fruire del regime fiscale agevolato.
Se escludiamo le condizioni previste dalla normativa fiscale per ottenere una tassazione agevolata, i premi di produttività possono essere potenzialmente stabiliti da una molteplicità di soggetti, in base a quello che è l’organigramma, la divisione dei poteri o la prassi aziendale, come ad esempio:
- Presidente o rappresentate legale;
- Consiglio di amministrazione o amministratore delegato;
- Direttore generale, direttore finanziario;
- Responsabile ufficio risorse umane o responsabile amministrativo;
- Contratto
L’organo o il soggetto che decide se corrispondere i premi ha anche discrezionalità sull’importo e le modalità di erogazione in termini di riconoscimento in un’unica soluzione o mediante un sistema di acconti e successivo saldo.
In genere le somme vengono corrisposte dopo aver approvato il bilancio relativo all’anno precedente quello di erogazione del premio. Il bilancio è infatti il documento che certifica lo stato di salute dell’azienda e di conseguenza i risultati raggiunti dai suoi dipendenti. Spetta all’azienda decidere quanto premio erogare. Questo può avere un importo uguale per tutti i dipendenti o differenziato in base a criteri oggettivi, come ad esempio:
- Ore di presenza o straordinario nel periodo preso a riferimento per il premio;
- Numero di contratti conclusi;
- Numero di ordini spediti;
- L’appartenenza a un determinato reparto / ufficio
Il premio di risultato è, dal punto di vista fiscale e previdenziale, una forma di retribuzione a tutti gli effetti e dunque su di esso il lavoratore dipendente deve pagare le tasse come sul resto dello stipendio ed il datore di lavoro deve pagarci i contributi previdenziali.
La legge, tuttavia, con la finalità di favorire i premi di risultato prevede una tassazione agevolata per le somme erogate come premio di risultato. Infatti su queste somme, il dipendente pagherà solo un’aliquota Irpef del 10% e non la sua aliquota ordinaria.
L’agevolazione, tuttavia, spetta solo in determinate condizioni:
- la quota di premio di risultato che può essere tassata con l’aliquota agevolata del 10% non può superare i 3.000 euro. Dunque, se il premio di risultato fosse di 5.000 euro, sui primi 3.000 euro il dipendente pagherebbe una Irpef pari al 10% e sui restanti 2.000 euro pagherebbe l’Irpef ordinaria;
- per accedere al beneficio il dipendente deve avere dichiarato nell’anno precedente un reddito lordo non superiore ad euro 80.000;
- il lavoratore deve dipendere da una ditta privata e non può usufruirne se è un dipendente pubblico;
- il premio di risultato, per poter accedere all’agevolazione fiscale, deve essere stato previsto in un accordo sindacale tra azienda e organizzazioni. Restano dunque esclusi i premi di risultato stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, da contratti individuali di lavoro o direttamente dall’azienda in modo unilaterale;
Premio di Risultato in busta paga
Il lavoratore può scegliere se ricevere il premio di produttività in busta paga oppure può decidere di convertire il premio in prestazioni di Welfare.
Se il lavoratore decide di ricevere il premio di produttività in busta paga, potrà optare per una tassazione agevolata del 10% sempre che il premio di risultato non ecceda i € 3.000,00 lordi annui ed il reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente non superi gli 80.000 €.
Se vengono rispettate entrambe le condizioni suddette il premio di risultato non concorrerà a formare il reddito di lavoro dipendente.
Queste agevolazioni sono rese possibili quando esiste un accordo territoriale oppure un accordo di 2° livello con le parti sindacali che preveda espressamente la possibilità usufruirne per la totalità dei lavoratori.
L’imposta al 10% si applica sulle somme al netto degli importi trattenuti a titolo di contributi previdenziali e assistenziali.
Se ad esempio il premio di risultato ammonta ad euro 2.000, l’imposta sostitutiva si applica su:
Importo premio 2.000,00 – 160,00 (contributi INPS da trattenere al dipendente) = 1.840,00.
Di conseguenza la tassazione sarà pari a:
1.840,00 * 10 / 100 = 184,00.
2.000,00 – 160,00 (contributi INPS) – 184,00 (imposta sostitutiva) = 1.656,00 euro.
Premio di Risultato convertito in Welfare
Esiste anche la possibilità di non tassare del tutto il premio di risultato e questa possibilità si verifica quando il lavoratore decide di convertire il premio di risultato in prestazioni di Welfare.
Infatti, il dipendente, se espressamente indicato all’interno dell’accordo negoziale, ha la facoltà di scegliere che il Premio di risultato venga, parzialmente o totalmente, convertito in prestazioni di Welfare per coprire, ad esempio, spese mediche, assistenza ai familiari anziani oppure familiari non autosufficienti, tasse universitarie, libri di testo, mense, asilo nido, buoni pasto…
In questo caso, l’importo che costituisce il premio di risultato non sarà soggetto ad alcuna tassazione né per il dipendente né per l’azienda.
Anche in questo caso però il premio di risultato non dovrà superare € 3.000,00 lordi annui ed il reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente non dovrà essere superiore ad € 80.000.
Invece tali limiti, non vengono considerati quando il dipendente opti per particolari forme di welfare quali l’assistenza sanitaria integrativa e la previdenza complementare.
Il Welfare Puro
Esiste infine un’altra modalità di detassazione totale ma senza le limitazioni suddette ed è rappresentata dal Welfare Puro.
In questo caso l’azienda al raggiungimento di obiettivi prefissati, offre beni, opere o servizi di welfare a tutti oppure solo a specifiche categorie di lavoratori in aggiunta alla normale retribuzione.
Tutto ciò però avviene senza la necessità di un accordo territoriale di 2° livello, come nei due casi precedenti, ma si realizza semplicemente con un Regolamento Aziendale interno.
Il welfare puro non è soggetto ad alcun limite di importo o di retribuzione annua e non concorre alla determinazione del reddito da lavoro ai fini ISEE.
In Conclusione
Riassumendo, possiamo dire che anche per il 2022 la detassazione del premio di risultato avverrà secondo le seguenti modalità:
- Premio di Risultato in busta paga: tassazione agevolata del 10%, con il limite del premio di € 3.000,00 lordi annui e limite del reddito di lavoro dipendente dell’anno precedente di € 80.000 e con accordo sindacale di 2° livello;
- Premio di Risultato convertito in Welfare: detassazione totale, con il limite del premio di € 3.000,00 lordi annui e limite del reddito di lavoro dipendente dell’anno precedente di € 80.000 tranne casi specifici;
- Premio di Risultato convertito in Welfare Puro: detassazione totale senza alcun limite ma con la necessità di un accordo aziendale interno;
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Diversity Management
Diversity Management
Cosa si intende per Diversity Management?
Per Diversity Management si intende un approccio alla gestione delle Risorse Umane finalizzato alla valorizzazione delle differenze che caratterizzano ciascun collaboratore dell’azienda, al fine di prevenire e gestire logiche ed eventuali comportamenti discriminatori all’interno dell’organizzazione.
Le persone al centro!
Ogni individuo è portatore della sua “unicità” all’interno dell’organizzazione e bisognerebbe parlare di individui, cioè di persone, piuttosto che di categorie: donne, diversamente abili, anziani, giovani o individui con diverso orientamento sessuale o religioso, stranieri, etc.
Risulta sicuramente più corretto mettere le persone al centro, per non cadere nella trappola degli stereotipi e dei pregiudizi inconsapevoli che spesso ci accompagnano.
Chi infatti, almeno una volta nella vita, non ha detto “…non ho niente contro di loro, ma...”? La tentazione di inquadrare le persone, di metterle all’interno di una casella, è spesso una sorta di “comodità” per non essere costretti a riflettere sulle nostre convinzioni e sulle nostre abitudini mentali; ma quando siamo noi oggetto del pregiudizio?
Un’organizzazione con un approccio al Diversity Management prima di tutto aiuta a riconoscere e a comprendere le differenze, per creare un ambiente lavorativo che favorisca e valorizzi l’espressione del potenziale e delle capacità individuali, al fine di garantire opportunità di crescita per il singolo, senza distinzioni pregiudiziali. L’obiettivo è quello di favorire un clima organizzativo dove le persone si sentano a proprio agio, accettate e, quindi, sottoposte a minor stress con conseguente maggior efficacia professionale.
Cosa si può fare in concreto?
Non c’è peggior discriminazione di trattare tutti allo stesso modo
Cosa stanno facendo le aziende italiane per creare un ambiente di lavoro in cui tali diversità siano rispettate e i dipendenti valorizzati per le loro competenze e il loro talento, senza subire discriminazioni?
Vediamo qualche esempio:
Dopo l’approvazione della Legge Cirinnà, ossia la Legge sulle unioni civili, anche nel mondo del lavoro italiano molte aziende, grandi e piccole, stanno adottando politiche e iniziative volte ad estendere i diritti riconosciuti alle coppie “tradizionali” anche alle coppie dello stesso sesso. Favorire in azienda l’adozione di politiche e misure volte a promuovere il rispetto e l’integrazione delle diversity, anche nel campo dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, è importante sia per i lavoratori che per la società, favorendo un’importante evoluzione culturale e sociale!
In altre realtà, si sono organizzati corsi di formazione rivolti ai Manager per favorire comportamenti organizzativi che siano inclusivi verso tutti i collaboratori al fine di favorire percorsi di valutazione professionale e di sviluppo di carriera equi e non discriminatori.
La parità di genere in famiglia e nei posti di lavoro ancora oggi non è scontata.
Scarsa autostima e gestione poco efficace delle proprie emozioni spesso costituiscono dei meccanismi di auto sabotaggio; questi meccanismi, accompagnati da un’organizzazione del lavoro pensata al maschile, non aiutano a sfondare il famoso “tetto di cristallo “, che impedisce alla maggior parte delle donne di arrivare ai livelli apicali dell’organizzazione.
I percorsi di Empowerment femminile per favorire la crescita personale e professionale delle donne in azienda, attraverso una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e potenzialità, ma anche dell’importanza di saper comunicare le proprie competenze, argomentare le proprie idee e essere maggiormente assertive con chi ci circonda, sono azioni che in molte situazioni aziendali hanno consentito di far crescere professionalmente molte donne nei loro percorsi professionali.
Con quali strumenti?
Un piano di Diversity Management deve essere costituito attraverso azioni di tipo organizzativo che favoriscano la miglior partecipazione e valorizzazione di tutti i collaboratori.
Ad esempio, rivedendo le politiche di comunicazione interna, la gestione degli orari o creando accordi di “smart working” maggiormente tarati sulle specifiche esigenze familiari e personali. Ma anche attraverso Piani di Welfare aziendale che, grazie ai servizi rivolti alla persona e alla famiglia, consentano alle madri, ma anche ai padri, di conciliare meglio il loro tempo tra vita privata e lavorativa.
Inoltre, si potrebbero attivare programmi di Mentoring aziendale che consentano agli anziani di essere valorizzati in quanto portatori di competenze tacite.
Infine, anche Piani di formazione e di Counseling mirati alla crescita e allo sviluppo personale e professionale possono favorire il superamento di stereotipi e pregiudizi, liberando le potenzialità delle singole persone.
La capacità di un’organizzazione di perseguire la soddisfazione dei propri dipendenti, di porre attenzione all’equilibrio tra lavoro e vita privata, di sviluppare piani e progetti per dare valore ai propri dipendenti non solo come lavoratori, ma anche come persone, è la strada da perseguire per favorire una società sempre più complessa e inclusiva.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Previdenza Complementare
Previdenza Complementare
Cos’è la previdenza complementare?
La previdenza complementare è una forma pensionistica volontaria; si tratta di versamenti complementari al fondo pensionistico, ossia in aggiunta a quella pubblica, obbligatoria per legge. L’impianto previdenziale, quindi, consente di implementare la pensione pubblica e non implica una sostituzione della stessa.
Fu introdotta nel 1993 e può essere istituita attraverso contratti e accordi collettivi, regolamenti aziendali, accordi tra lavoratori autonomi o liberi professionisti e accordi fra soci di cooperative.
Per ottenere questa “seconda pensione” è obbligatorio aderire a un fondo e versare dei contributi.
- Fondo chiuso: vi aderiscono persone che appartengono a un certo settore, impresa, o territorio
- Fondo aperto: sono istituiti dalle banche, società di intermediazione immobiliare, dalle assicurazioni o dalle società di gestione del risparmio
Vantaggi della previdenza complementare
Secondo quanto stabilito dalla normativa vigente (articolo 10 del TUIR) è possibile dedurre dal reddito imponibile IRPEF i contributi destinati a forme pensionistiche complementari fino al limite di 5.164,57 euro annui.
Questo limite include sia i contributi versati dal lavoratore, sia le somme versate per eventuali familiari a carico.
I vantaggi fiscali aumentano per coloro che si trovano alla prima occupazione. Per i primi cinque anni, infatti, il limite per la deducibilità fiscale dei contributi previdenziali destinati ai fondi pensione è aumentato di 2.859,29 euro.
Inoltre, se il dipendente lo desidera potrà destinare il suo TFR al fondo pensionistico. Le eventuali quote di TFR destinate al fondo pensione complementare però non sono deducibili.
Previdenza complementare e Welfare Aziendale
Tra le opzioni declinate dalla normativa vigente, un’altra possibilità per implementare la propria pensione tramite versamenti ai fondi pensionistici è rappresentata dal Welfare Aziendale.
La previdenza complementare è uno dei servizi più vantaggiosi del Welfare Aziendale.
I vantaggi sono diversi:
- Il credito welfare destinato alla previdenza complementare è deducibile dalle tasse e non fa cumulo con i 5.164,57 euro
- Il credito welfare è esentasse e mantiene l’esenzione dalla tassazione anche quando la pensione viene erogata o vengono richieste delle anticipazioni sulle somme versate
- Inoltre, si ottiene un risparmio contributivo in quanto il credito welfare destinato al fondo pensionistico non viene gravato dall’imposizione fiscale per la pensione INPS
Inoltre, anche per l’Azienda l’attivazione di un Piano di Welfare Aziendale comporterà enormi benefici fiscali poiché non dovrà versare INPS e IRES né sottostare ad altri oneri.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Piano Sanitario di Welfare Aziendale
Piano Sanitario di Welfare Aziendale
Conoscete l’importanza dell’assistenza sanitaria per i dipendenti?
Come tutti sappiamo, è sempre più difficile per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) stare al passo con le richieste di assistenza da parte dei cittadini. La domanda di assistenza sanitaria, infatti, è in continua crescita e proviene da una Società sempre più diversificata e complessa.
L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 sta mettendo in evidenza, in maniera ancora più forte, i limiti del sistema di Welfare del nostro Paese. Oggi più che mai è quindi necessario investire sull’innovazione e sul cambiamento sociale.
La sanità è un elemento non solo di assistenza, ma anche un punto essenziale alla base dello sviluppo di un Paese.
La salute è in testa alle preoccupazioni dei cittadini ed è qui che entrano in gioco le Aziende: per i lavoratori è importante poter contare anche sulla propria Azienda per questo tipo di tutela. (leggi anche il nostro articolo Il Welfare Aziendale ai tempi del Covid)
Per le Aziende, il benessere dei dipendenti è un indicatore di aumento della produttività e della crescita economica. Si deve agire per assicurare al dipendente un equilibrio tra il lavoro, la famiglia e la vita sociale. (leggi anche il nostro articolo Welfare Aziendale: Cos’è?)
La miglior soluzione è offrire ai dipendenti una copertura sanitaria integrativa per permettere alle Aziende di prendersi cura dei propri dipendenti:
- visite specialistiche
- esami diagnostici
- cure odontoiatriche
- check-up annuali e altre strategie di prevenzione
- servizi specifici per la maternità
- cure psicoterapiche
Questi sono solo alcuni esempi dei servizi che possono essere inclusi in una polizza assicurativa prevista all’interno di un Piano Sanitario di Welfare Aziendale. In generale, si tratta di soluzioni flessibili, studiate sulla base di un’attenta analisi degli effettivi bisogni dell’organico aziendale.
L’obiettivo è quello di garantire a tutti i dipendenti, incluse le loro famiglie, l’accesso alle cure necessarie, senza trascurare la prevenzione, in breve tempo e a costi ridotti. Questa deve o dovrebbe essere la priorità per tutte le Aziende perché un dipendente felice è la chiave per un Azienda produttiva.
Perché un Piano Sanitario di Welfare Aziendale è vantaggioso per le Aziende e per i dipendenti?
Il primo elemento che attrae le Aziende, spingendole ad attivare un Piano di Welfare Aziendale per i propri dipendenti, è la possibilità di beneficiare di significativi vantaggi fiscali.
Ma i benefici non finiscono qui, oltre a fornire un Piano Sanitario collettivo, un Piano di Welfare Aziendale ha anche altri effetti positivi:
- Aumento della soddisfazione e della fidelizzazione dei dipendenti
- Riduzione delle assenze per malattia, conseguenza diretta della prevenzione, delle tempistiche e dei costi ridotti per i pazienti coperti da polizza assicurativa
- Miglioramento del clima aziendale
- Impatto positivo sull’immagine e sulla Brand Reputation
L’elemento cruciale, quando si parla di Welfare Aziendale, è che i vantaggi non si limitano all’Azienda ma coinvolgono anche tutti i lavoratori.
Infatti, i benefici raggiungono anche la sfera familiare, permettendo di equilibrare, in maniera più sana, il tempo dedicato alla propria professione e quello dedicato alla famiglia.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
Dichiarazione dei redditi e detrazione dei rimborsi welfare
Dichiarazione dei redditi e detrazione dei rimborsi welfare
Il Welfare Aziendale
Il Welfare Aziendale rappresenta l’insieme dei benefit e delle prestazioni, finalizzate ad integrare la componente monetaria della retribuzione, per sostenere il reddito dei dipendenti e migliorarne la vita privata e lavorativa.
Oggi il datore di lavoro ricorrere sempre di più a forme di sostegno nei confronti dei propri dipendenti, perché comprende che un dipendente soddisfatto e felice è più produttivo.
Le erogazioni del datore di lavoro hanno finalità che si possono definire di rilevanza sociale, esse sono rappresentate da prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese.
Tali erogazioni sono escluse dal reddito di lavoro dipendente.
Dichiarazione dei redditi
L’articolo 51 del TUIR disciplina la determinazione del reddito di lavoro dipendente e le relative esclusioni dalla tassazione.
Come dispone il suddetto articolo una serie di voci riferibili ai servizi di “welfare aziendale” non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente.
L’erogazione dei benefit determina la deducibilità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del TUIR.
Per questo motivo, i costi sostenuti dall’azienda sono considerati “oneri di utilità sociale” ed hanno specifiche finalità di:
- Educazione
- Istruzione
- Ricreazione
- Assistenza sociale e sanitaria
- Culto
Esiste un regime di detassazione che caratterizza alcuni oneri definiti di utilità sociale e ciò incentiva il datore di lavoro ad investire sempre di più in piani di “welfare aziendale”.
Alcuni di questi oneri sono oggetto di detrazione fiscale ai fini Irpef, cioè possono essere detratti nella dichiarazione dei redditi, a condizione che siano costi rimasti effettivamente a carico del contribuente.
A questo punto però ci si pone una domanda:
“I costi sostenuti dal contribuente, se rimborsati dal datore di lavoro, potranno essere anche detratti nella dichiarazione dei redditi del dipendente?”
Detrazione delle spese rimborsate dal datore di lavoro
Per fare chiarezza consideriamo i “rimborsi per l’asilo nido”.
Le spese di frequenza per l’asilo nido sono costi che danno già diritto alla detrazione fiscale ai fini IRPEF per i genitori che li sostengono.
La norma stabilisce che nella dichiarazione dei redditi, 730, 730 precompilato o Modello Unico si possono portare in detrazione tutti i costi effettivamente rimasti a carico del contribuente.
Bisogna però distinguere che per alcuni costi esistono dei limiti di detraibilità in termini di importo annuo, di requisiti da rispettare, oppure in altri casi ancora la detrazione Irpef è determinata forfettariamente.
Per questo motivo è necessario analizzare con attenzione la tipologia di erogazione che effettua il datore di lavoro.
Tipologie di rimborsi
Se il datore di lavoro rimborsa totalmente il costo sostenuto dal dipendente e il rimborso viene tassato in busta paga, concorre a formare il reddito del lavoratore dipendente e, quindi, il costo potrà essere detratto nella dichiarazione dei redditi.
Contrariamente se il datore di lavoro rimborsa totalmente il costo sostenuto dal dipendente e non lo tassa in busta paga e non lo assoggetta alla ritenuta irpef, allora il rimborso non concorrerà alla formazione del reddito del dipendente e, quindi, il costo non potrà essere detratto nella dichiarazione dei redditi.
Infine, se il datore di lavoro applica solo un rimborso parziale del costo, cioè rimborsa solo parzialmente il costo sostenuto dal dipendente, significa che il rimborso sarà inferiore rispetto alla spesa sostenuta dal dipendente allora, in questo caso, la detrazione sarà calcolata solo sulla parte non rimborsata.
Come chiarito anche dalla Circolare n.19/2020 dell’Agenzia delle Entrate, le spese sostenute dal dipendente in misura maggiore al rimborso ottenuto dal datore di lavoro, danno diritto alla detrazione/deduzione per la sola parte non rimborsata.
Nel caso di spese detraibili entro determinati limiti di importo, la detrazione spetta nei limiti indicati per l’importo non rimborsato.
Soffermiamoci su alcuni esempi:
Esempio n.1:
Le spese sostenute dal contribuente per asilo nido ammontano a 1.200,00 euro, le spese rimborsate dal datore di lavoro sono pari a 0,00 euro, la spesa su cui calcolare la detrazione sarà pari a 632,00 euro, limite di spesa detraibile.
Esempio n.2:
Le spese sostenute dal contribuente per asilo nido ammontano a 1.200,00 euro, le spese rimborsate dal datore di lavoro sono pari a 1200,00 euro, la spesa su cui calcolare la detrazione sarà pari a 0,00 euro, il contribuente non applicherà nessuna detrazione.
Esempio n.3:
Le spese sostenute dal contribuente per asilo nido ammontano a 1.200,00 euro, le spese rimborsate dal datore di lavoro sono pari a 900,00 euro, (il limite di spesa detraibile è pari a 632,00 euro) la spesa su cui calcolare la detrazione sarà pari a 300,00 euro.
Il contribuente e il datore di lavoro
Per verificare quale comportamento dovrà adottare il contribuente in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi sarà necessario analizzare quanto riportato nella Certificazione unica rilasciata dal datore di lavoro.
Le spese rimborsate dal datore di lavoro saranno indicate nella sezione “Rimborsi di beni e servizi non soggetti a tassazione – art. 51 Tuir (punti da 701, 702, 703, 704, 705, 706).
Il punto 701 della Certificazione unica, individua l’anno nel quale la spesa sostenuta dal dipendente è stata rimborsata dal datore di lavoro.
Questa è un’informazione necessaria perché servirà ad evitare che il dipendente possa fruire di un doppio beneficio, cioè la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente e contemporaneamente la detrazione dell’onere rimborsato in sede di dichiarazione dei redditi.
Lo scopo è quello di evitare che le spese rimborsate al dipendente non vengano considerate come sostenute dal datore di lavoro.
Come evidenziato dall’articolo 51 comma 2 del TUIR il datore di lavoro non dovrà necessariamente erogare i citati rimborsi nello stesso anno in cui le spese sono state sostenute dal dipendente.
Se il rimborso da parte del datore di lavoro riguarda oneri sostenuti in anni precedenti, per i quali il contribuente ha già beneficiato della detrazione, le somme rimborsate dovranno essere assoggettate a tassazione separata ai sensi dell’art. 17, comma 1 lett.n-bis) del TUIR.
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.
I Rimborsi Welfare
GLI ACQUISTI A RIMBORSO
In cosa consistono gli acquisti a rimborso?
All’interno dei Piani di Welfare Aziendale, i dipendenti potranno chiedere, tramite la nostra Piattaforma Acropoli, i rimborsi per le spese sostenute direttamente da loro per i loro familiari.
Le categorie rimborsabili riguardano, principalmente, l’istruzione, l’assistenza a familiari anziani e/o non autosufficienti e il trasporto pubblico (unica categoria per cui è concesso chiedere il rimborso anche per se stessi).
È importante che le somme rimborsate attraverso il Welfare Aziendale non si sovrappongano con l’ammontare portato in detrazione nel 730, poiché le due agevolazioni non sono cumulabili. (leggi il nostro articolo a riguardo)
Documenti necessari per richiedere il rimborso
Affinché il rimborso venga accettato è necessario che il dipendente carichi in piattaforma dei documenti finalizzati a dimostrare che la spesa è stata sostenuta da loro in favore del beneficiario e nel periodo di tempo consentito.
Il primo documento necessario è il giustificativo di spesa quale, ad esempio, fattura, ricevuta, o altro giustificativo di spesa analogo dal quale emergano il beneficiario e la tipologia del servizio effettuato, intestata al dipendente o al familiare beneficiario della spesa.
Ciascun giustificativo di spesa dovrà poi riportare l’importo, la partita IVA/codice fiscale e la ragione sociale della struttura beneficiaria del pagamento.
L’importo per il quale si richiede il rimborso non deve superare quello riportato nel giustificativo di spesa, tuttavia, può essere richiesto il rimborso per un importo minore (ad esempio, la differenze tra l’importo totale e quanto dichiarato nel 730).
Oltre al giustificativo di spesa, è necessario, ove disponibile, presentare la prova del pagamento effettuato dal dipendente (ad esempio, la ricevuta del bollettino postale, la distinta del bonifico bancario con la chiara indicazione della causale, la distinta di addebito della carta di credito, la contabile del MAV, la ricevuta del PagoPA, etc.).
Qualora non disponibile la prova de pagamento o in caso di pagamenti in contanti, devi compilare un’autodichiarazione ai sensi degli gli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445/2000 e consapevole delle sanzioni penali previste dall’art. 76 del medesimo D.P.R., da cui risulti che hai sostenuto interamente in proprio la spesa con l’indicazione della relativa data di pagamento, scaricabile in Piattaforma.
Questi documenti sono indispensabili per qualsiasi categoria di rimborso; a seconda delle categorie potranno poi essere richiesti altri specifici documenti.
Categoria di rimborso relativa all’istruzione
I dipendenti potranno chiedere il rimborso per:
- Rette scolastiche dal nido all’università, per istituti pubblici, paritari o privati
- Libri di testo scolastici e universitari
- Mensa scolastica
- Pre scuola e dopo scuola
- Gite scolastiche
- Trasporto collettivo
- Corsi di lingua sia presso l’istituto scolastico che presso istituti privati con finalità di ampliamento dell’offerta formativa scolastica
- Soggiorni studio all’estero
- Corsi di musica
- Centri estivi e invernali
- Spese sostenute per l’acquisto di pc / tablet per la DaD
Si segnala che, per il rimborso di tasse e rette universitarie, per la diffusa modalità in uso di regolazione elettronica di tali spese presso gli atenei, qualora non sia possibile documentare che il pagamento sia stato sostenuto direttamente dal dipendente, può essere ammesso, per questa specifica tipologia di spesa, anche il pagamento da parte del figlio.
Documenti aggiuntivi
Per i libri di testo, invece, oltre al giustificativo di spesa e alla prova di pagamento, sarà necessario allegare anche la documentazione emessa dall’istituto stesso con l’elenco dei libri per cui si chiede il rimborso. In mancanza di documentazione emessa dall’istituto, il dipendente dovrà compilare un’autodichiarazione che attesti quali libri sono stati acquistati, assumendosene la responsabilità.
Inoltre, qualora nella fattura o scontrino non sono chiaramente indicati i libri di testo acquistati e venisse riportata la generica voce «libri di testo», dovrà essere attestato l’elenco dettagliato dei libri e del loro prezzo che deve corrispondere a quelli adottati dall’Istituto.
In caso di richiesta di rimborso relativa ai costi delle apparecchiature elettroniche per lo studio in DaD è necessario presentare la prescrizione delle stesse emessa dall’istituto scolastico (con timbro e firma). Inoltre, è necessario allegare alla richiesta di rimborso anche idonea documentazione rilasciata dall’Istituto scolastico o dall’Università che attesti lo svolgimento delle lezioni mediante didattica a distanza.
Categoria di rimborso relativa all’assistenza di familiari anziani e/o non autosufficienti
I dipendenti potranno chiedere il rimborso per:
- Addetti all’assistenza personale (ad esempio, badanti, infermieri, prestazioni fisioterapiche etc.)
- Rette per degenza in strutture residenziali socio-assistenziali (anche centri diurni)
- Rette per degenza in strutture residenziali socio-sanitarie (RSA)
- Servizi di assistenza al familiare (psicologo, servizi di sollievo, fisioterapista, ecc.)
Qualora l’operatore che presta l’assistenza ai familiari sia assunto, occorre presentare la lettera di assunzione; in caso di prestazione di lavoro occasionale, copia della comunicazione effettuata all’INPS e del libretto famiglia.
Per familiare anziano di intendono i familiari con oltre 75 anni.
Documenti aggiuntivi
In caso di assistenza a familiari non autosufficienti, occorre presentare la certificazione medica per lo stato di non autosufficienza.
Categoria di rimborso relativa al trasporto pubblico
I dipendenti potranno chiedere il rimborso per spese sostenute per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale da intendersi come titoli di trasporto che consentano di effettuare un numero illimitato di viaggi, per più giorni, su un determinato percorso o sull’intera rete, in un periodo di tempo specificato (esclusi i biglietti singoli ed i carnet).
È l’unica categoria di rimborso per cui il dipendente può chiedere il rimborso sia per spese sostenute per se stesso che per i suoi familiari.
Documenti aggiuntivi
Oltre al giustificativo di spesa e alla prova di pagamento, dovrà allegare in piattaforma anche copia dell’abbonamento nominativo.
Tempistiche e modalità per i rimborsi richiesti sulla nostra Piattaforma Acropoli
Una volta che il dipendente avrà richiesto il rimborso in Piattaforma, il rimborso verrà accettato se presenta tutti i documenti necessari. In alternativa, verrà messo in revisione con richiesta dei documenti mancanti o annullato se il rimborso richiesto non rientra nelle categorie di rimborsi welfare permesse.
I rimborsi verranno rimborsati il mese successivo rispetto a quello in cui sono stati accettati, attraverso busta paga.
→ Il benessere genera benessere
Per maggiori informazioni non esitate a contattarci
Seguiteci sulla nostra pagina Linkedin per rimanere aggiornati; pubblichiamo ogni settimana diverse “pillole” sul Welfare e sul mondo HR.